Letture critiche
[Psicoterapia intensiva della famiglia]

"Psicoterapia intensiva della famiglia"

a cura di Boszormenyi-Nagy


 

Dalla psicanalisi alla terapia familiare

Questo libro è stato scritto nel 1965 da quindici studiosi nordamericani che iniziavano in quegli anni a gettare le basi della futura psicoterapia familiare. Gran parte degli articoli di cui è composto questo libro riguarda il lavoro svolto con famiglie in cui vi era un malato di schizofrenia.

La nascita della terapia familiare fu possibile perché gli autori, tutti con una formazione psicoanalitica, si accorsero che il trattamento intensivo individuale degli schizofrenici a un certo punto si arenava; ciò avveniva soprattutto per l'inconscia regressione procurata dallo scontro tra il malato e la sua famiglia. Per questa ragione si verificò il passaggio dalla psicoterapia individuale all'osservazione dell'individuo inserito nel contesto delle relazioni con la sua famiglia. Un grande contributo teorico in questa fase di passaggio alle nuove tecniche di terapia familiare si deve agli studi di Bowen e alle ricerche effettuate prima presso la Menninger Clinic e lo Shawnee Guidance Center negli anni 1949-1954 e successivamente presso il National Institute of Mental Health di Bethesda negli anni 1954-1959. Nella prima ricerca si evidenziò un caratteristico rapporto tra gli schizofrenici e le loro madri, basato su una forte simbiosi che periodicamente si alternava con atteggiamenti distaccati e ostili. L'ipotesi simbiotica fu il primo passo da una teoria prettamente individuale a una visione familiare del problema e costituì la base per la seconda ricerca, che prevedeva l'osservazione delle relazioni tra figli schizofrenici ricoverati e le loro madri alle quali veniva permesso di vivere in reparto. Dopo un anno dall'inizio della ricerca l'ipotesi fu estesa per permettere a tutti i familiari di abitare nel reparto, in modo da poter osservare le loro interazioni, ciò che permise di delineare le premesse teoriche della psicoterapia della famiglia.

Freud aveva considerato l'individuo come un sistema chiuso, perciò nel processo terapeutico psicoanalitico la famiglia era considerata un elemento di disturbo. In questo modo si spiega l'iniziale "omertà" dei primi terapeuti della famiglia, che lavoravano nell'isolamento ed evitavano di parlare pubblicamente del loro nuovo modo di operare.

 

Verso una nuova tecnica

All'epoca nella quale viene scritta questa raccolta di articoli non è ancora stata definita una univoca teoria della tecnica, né una metodologia di valutazione transazionale, benché i ricercatori siano già consapevoli che il vecchio modello basato sull'osservazione della relazione tra due persone è inadeguato, essendo emersa l'importanza di coalizioni, scismi, alleanze, mutualità e complementarità.

Le preesistenti teorie psicoanalitiche non vengono rinnegate, ma costituiscono le basi sulle quali nascono le successive teorie esplicative del funzionamento familiare. Un esempio portato da Boszormenyi-Nagy può essere la teoria che spiega il comportamento umano: esso secondo la psicanalisi risulta da un compromesso tra principio di realtà e principio di piacere; ma il controllo degli impulsi - come evidenziano le ricerche sulle interazioni familiari - è determinato anche dal tipo di assetto relazionale che intercorre tra l'individuo e gli altri, in modo tale che i motivi che determinano le azioni di una persona possono trovarsi nei bisogni di individuazione di un'altra. Quello dell'individuazione non è un concetto originale, perché consiste nella discriminazione tra Sé e Non-sé, già ampiamente trattato dagli psicoanalisti. Ogni relazione offre all'individuo la possibilità di delineare la propria personalità, in base alla risposta che l'altro le dà. Ne consegue che per delineare la personalità è necessaria la presenza dell'altro, della relazione. La relazione assegna le parti di soggetto e oggetto, i bisogni dell'altro diventano bisogni propri per il fatto che ognuno diventa oggetto degli sforzi dell'altro e sfondo per la sua affermazione. Essere oggetto significa essere investito da una sequenza di azioni che emergono dalle motivazioni dell'altro, perciò un forte investimento oggettivo è dannoso per la relazione in quanto è a scapito dell'autonomia dell'oggetto. Ne consegue che qualsiasi relazione per essere soddisfacente deve rispondere ai bisogni di individuazione di entrambi i partner.

Se il ruolo di una persona diventa prevedibile, tutte le altre appartenenti al sistema saranno imprigionate, costituendo una sorta di "continuum intersoggettivo". E' la fusione, l'inesistenza di un Non-sé: poiché tutti diventano oggetti di un sistema di prevedibilità, tutti perdono la libertà di scelta individuale. Si ha patologia quando i membri della famiglia sono indifferenziati, cioè manca differenziazione rispetto all'identità e al ruolo dei singoli. Per questo il vantaggio della psicoterapia relazionale sta nel permettere di completare o accelerare l'abbandono dell'oggetto in un clima di sostegno morale catalizzato collettivamente che consente ai membri della famiglia di proseguire il processo terapeutico malgrado le paure di frustrazione, rappresaglia o perdita.

Framo, nel suo contributo intitolato "Programma e tecniche della terapia familiare intensiva" si dice convinto che si sappia ancora poco su ciò che accade in psicoterapia, sui motivi per i quali accade e come in effetti le persone vengano aiutate. Molte sono, al contrario, le intuizioni dei "pionieri" della terapia familiare che sono ancora attuali. Ad esempio il fatto che nella diagnosi familiare ciò che è importante sono i processi patogeni del sistema e non le categorie diagnostiche, poiché il paziente designato esprime una disfunzionalità che appartiene a tutto il sistema. Oppure occuparsi di ciò che accade nel "qui e ora" della terapia, piuttosto che di formulazioni astratte, essere direttivi assegnando compiti e lavorare per far definire la famiglia, evitando le usuali protezioni reciproche.

Riguardo agli obiettivi del processo terapeutico, Framo individua la necessità di separare le generazioni e di conseguenza di rinsaldare i legami coniugali al fine di liberare i figli. Secondo l'autore l'infelicità matrimoniale è determinata sin dalle origini della coppia, quando i due partner si scelgono; la scelta cade su una determinata persona perché, tra le altre cose, è simile all'oggetto cattivo introiettato, quindi permette la scarica di vecchi rancori. Presto entrambi i coniugi si accorgono che il partner non li aiuta a rafforzare la propria personalità, ma sono spinti a conformarsi all'immagine introiettata dall'altro: l'uno manovra l'altro inconsapevolmente, ottenendo la somiglianza tra oggetto cattivo introiettato e partner e sentendosi perseguitato da quest'ultimo. La relazione matura è caratterizzata dalla capacità di compiere l'adattamento al matrimonio, superare lentamente questi oggetti interiorizzati. L'obiettivo della terapia di coppia è allora far "risposare" questi coniugi, cercando di farli scendere a patti con i loro oggetti interiorizzati e a sviluppare i molteplici significati del loro legame coniugale. Il lavoro terapeutico concerne la loro vita passata, il dimostrare quanto hanno abusato l'uno dell'altra, quale cattivo uso hanno fatto dei loro genitori… Allora potrà succedere che i due simpatizzano, si capiscono meglio e aumenterà la loro capacità di dare reciprocamente. I figli, agli albori della psicoterapia familiare, venivano coinvolti nelle sedute e quindi, anche a detta di Framo, "la terapia familiare si riduce a una psicoterapia di coppia praticata in presenza dei figli", in un processo che non coglie la valenza terapeutica e di manovra strutturale insita nel tenere "le porte chiuse" anche in stanza di terapia.

Molto interessante e, a mio parere, ancora molto attuale il contributo di Whitaker e collaboratori che spiega le ragioni per cui nella psicoterapia familiare è necessario lavorare in co-terapia. Nella terapia familiare il terapeuta si trova in una situazione più difficile rispetto alla situazione individuale; infatti in quest'ultima le relazioni del paziente con i propri familiari vengono trasferite sul terapeuta e quindi possono solo essere inferite. Nella terapia familiare invece, avendo tutto il gruppo presente, le relazioni avvengono nel qui ed ora e il terapeuta è l'unico estraneo che assiste all'attuazione di dinamiche che si verificano da decenni. Egli deve lavorare per rompere delle alleanze, ciò che provoca tensioni con la conseguente nascita di un controtransfert del terapeuta. In breve, il terapeuta utilizza il lavoro con la famiglia paziente per rivivere alcune tensioni provate nella propria famiglia e da ciò deriva lo "zelo missionario" del terapeuta, il lasciarsi assorbire come un membro della famiglia perché è preoccupato di quello che stanno facendo. Infatti ogni terapeuta è il prodotto delle distorsioni della sua famiglia d'origine.

Frequente è l'identificazione positiva col paziente, nutrita dal preconcetto che "lo psicotico capisce la vita meglio dei suoi genitori". Ciò può indurre a colpevolizzare i genitori e a idealizzare il paziente, cosa alquanto infondata poiché la malattia emotiva di uno dei membri della famiglia si basa su un modello familiare unico, condiviso da tutti. L'identificazione col paziente lega la famiglia con un doppio legame che consiste nella accusa alla famiglia di aver creato un malato e nella contrastante idealizzazione dello psicotico. A volte il terapeuta può identificarsi con la madre e lo evidenzia alla famiglia con frasi che sollecitano la gratitudine per il lavoro svolto (per es. "Dovete apprezzare ciò che faccio per voi, altrimenti non siete degni del mio amore"), ma facendo questo entra in sintonia e gode della relazione con la famiglia, trasformandosi da terapeuta a figlio della famiglia.

Il terapeuta "deve essere nella, ma non della famiglia", cioè aiutare la famiglia a infrangere la lealtà di gruppo, formare nuovi sottogruppi, senza perdere la propria identità. Secondo Whitaker la prevenzione dell'invischiamento del terapeuta è possibile con una buona preparazione tecnica, con lo sperimentarsi nella posizione di paziente, con relazioni costruttive nella sua vita privata, con una buona supervisione, ma soprattutto lavorando con un co-terapeuta che lo tiri fuori dall'eccessivo coinvolgimento con la famiglia.


La teoria familiare della schizofrenia

Secondo Bowen tutte le dinamiche familiari presenti nelle famiglie con figli schizofrenici si trovano anche nelle famiglie nevrotiche e in quelle "normali"; la normalità o la patologia dipendono dal grado in cui dette dinamiche si verificano. All'esordio delle sue ricerche sulle famiglie Bowen aveva associato la schizofrenia con la simbiosi tra madre e figlio, ma presto si accorse che questa relazione simbiotica esisteva anche con gli altri familiari. Osservò che le relazioni familiari passavano da una fusione tale da rendere impossibile la differenziazione dei diversi membri, a un eccesso di distacco. Nelle fasi di fusione l'Io di un membro poteva funzionare anche per l'altro (per esempio un familiare si ammala in seguito alla tensione emotiva esperita da un altro). Perciò la famiglia come sistema ricorda, secondo questo autore, un gioco di puzzle in cui ognuno ha una tessera e mantiene vivo un notevole commercio e scambio di pezzi con gli altri. Bowen postula l'esistenza di una massa indifferenziata dell'Io familiare, riferendosi con questo termine alla fusione emotiva della famiglia. Più la famiglia è immatura, maggiore sarà la sua fusione nella massa indifferenziata; l'autore elabora una scala con degli indici di fusione/differenziazione dalla quale si evidenzia che il massimo della fusione emotiva si riscontra nelle famiglie con un membro schizofrenico -collocate da Bowen ai margini inferiori della suddetta scala-, mentre al contrario, nelle famiglie più mature dal punto di vista emotivo non si riscontrano fusioni con gli altri -esse si situano all'estremo opposto della scala -.

Con il matrimonio si ripropone la fusione che ognuno dei coniugi aveva con i propri genitori e per evitare l'angoscia della fusione alcuni partners possono adottare una sorta di "divorzio emotivo". Il problema dei genitori è spesso proiettano sulla prole dalla madre, con la connivenza del padre. La madre è una persona immatura che si sente inadeguata e cerca le ragioni della sua ansia al di fuori di sé, tipicamente difetti del bambino, che lei esagera fino a farli diventare cose serie. Quando il bambino accetta la proiezione materna, automaticamente comincia a comportarsi in una maniera più infantile: è il prezzo che paga per avere una madre più serena.

Searles sostiene che l'inizio della psicosi schizofrenica coincide con la rottura di un legame simbiotico con uno dei genitori o con una figura parentale; in seguito a questo avvenimento il paziente si rende conto che i riconoscimenti che otteneva dal genitore non gli venivano dati in quanto persona distinta e unica, ma perché egli veniva vissuto come un'estensione del genitore stesso. Dal momento che il suo senso d'identità era legato alla simbiosi, la sua rottura lo porta a esperire un'esperienza schizofrenica col mondo, caratterizzata da confusione, distorsioni, ecc.

Nelle famiglie con pazienti schizofrenici l'indifferenziazione simbiotica prevale in qualunque relazione, al punto che Searles, come Bowen, le percepisce come fossero un unico aggregato che visivamente può essere rappresentato come un unico individuo simbiotico. In questo tipo di famiglie il fatto di appartenere alla famiglia non è qualcosa di biologicamente stabilito, ma deve essere mantenuto attraverso la partecipazione alla simbiosi familiare; quindi molto prima del verificarsi della malattia psicotica, l'individuo era sottoposto alla minaccia che se si fosse differenziato, sottraendosi all'obbligo di impersonare gli aspetti parziali proiettati dai genitori, sarebbe stato espulso psicologicamente dalla famiglia.

Ackerman nel suo articolo parla del trattamento di una famiglia con una ragazza delirante. In questa famiglia l'autore evidenzia una fusione tra madre e nonna della paziente, fusione che richiede l'espulsione di un elemento cattivo, che in una fase iniziale è il padre della ragazza, assente nei primi anni di matrimonio per motivi di lavoro. Successivamente però il padre si allea alla coppia e insieme attuano dei comportamenti espulsivi nei confronti della figlia.

Il messaggio ricevuto dal figlio che svilupperà una nevrosi è "non devi essere diverso", mentre colui che svilupperà una psicosi riceve il messaggio "non devi essere", ossia una serie di continue disconferme, alimentate dalla paura che questo tipo di famiglie nutre verso la nascita, la crescita, il movimento e ogni cosa nuova dell'esistenza.

Laing rintraccia nella mistificazione una possibile causa della confusione esperita nella malattia emotiva. Egli adotta questo concetto espresso per la prima volta da Marx. Quest'ultimo con tale termine si riferiva a "una rappresentazione falsa ma plausibile di ciò che sta accadendo (processo) o ciò che viene fatto (prassi) al servizio degli interessi di una classe socioeconomica contro o a scapito di un'altra classe". Rappresentando le forme di sfruttamento come benefici, lo sfruttatore confonde la persona sfruttata e la induce a sentirsi debitrice, a provare gratitudine verso lo sfruttatore e a considerare impensabile e folle la ribellione. La famiglia per risolvere le controversie tra i suoi membri, usa tra gli altri mezzi anche la mistificazione. Mistificare significa confondere, annebbiare, oscurare e mascherare quel che accade; la persona mistificata può sentirsi, confusa, coinvolta, ma può anche non sentirsi tale. Un modo per attuare la mistificazione nei confronti di quel che sente una persona, consiste nel confermare il contenuto di un'esperienza a un livello, sconfessandone contemporaneamente le modalità (per esempio la memoria, la percezione, la fantasia…). Un altro modo per esercitare una mistificazione può essere: sconfessare il contenuto di un esperienza di una persona e sostituirlo con attribuzioni connesse con la propria visione dell'altro.

Quando in una famiglia troviamo una mistificazione dobbiamo pensare che c'è un conflitto nascosto da qualche parte e che essa viene attuata quando un membro della famiglia minaccia o sembra minacciare con il suo sentire o con il suo comportamento lo status quo.

Di per sé la mistificazione non è patologica, ma lo diventa se la persona mistificatrice porta confusione in tutta l'esperienza di un'altra persona: memoria, percezioni, sogni, fantasie, immaginazione. Allora la persona mistificata non sarà più in grado di riconoscere le proprie motivazioni, le proprie emozioni, non avrà una corretta percezione di sé, della sua identità, così come la sua percezione degli altri, del loro modo di sentire e agire nei suoi confronti, ecc.

Il concetto di mistificazione ha molte cose in comune con quello di doppio legame: ogni doppio legame è mistificante, ma le mistificazioni non sono necessariamente di doppi legami; la differenza sta nel fatto che la persona mistificata può trovarsi di fronte a un modo di "giusto" esperire e agire, a una via d'uscita, ciò che è precluso invece nel doppio legame.

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Psicoterapia intensiva della famiglia Il mito familiare Gregory Bateson - Mente e Natura Metaloghi
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